"Thro' evening shades I haste away / to close the labours of my day."

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Excerpt #8

Del troll ormai non rimaneva che la testa, e nemmeno si sarebbe potuta definire propriamente intera. Ciononostante continuava a rigenerarsi, tenacemente, costringendoli ad amputare, mozzare ed estirpare in continuazione nuove propaggini informi prima che avessero il tempo di diventare un nuovo corpo.

Alhambra in quelle condizioni non poteva fare nulla che somigliasse ad un’operazione. Scalzò la pietra sussurrante dalla sua sede facendo leva con il manico del bisturi, prima che i tessuti della testa si ricomponessero richiudendo la ferita intorno ai filamenti ancora conficcati nel cervello della creatura.

«Adesso cosa pensi di fare?», le domandò Keryon, vibrando quasi con noncuranza un colpo da macellaio con la sua ascia bipenne, nel punto in cui l’osso della mandibola s’innestava al resto del cranio.

«Taglio tutto», rispose lei. «Vediamo che succede». Rigirò il bisturi con una torsione di polso e falciò i sottili tentacoli senza troppi riguardi; la loro disposizione, però, era troppo irregolare, e la velocità con cui reagirono allo scempio, inaudita. Per la seconda volta si rivoltarono contro la mano che li minacciava, per la seconda volta la testa del Chierico si riempì di bisbigli malefici ed incomprensibili, ottundendola.

Memore dell’episodio precedente, il Ranger intervenne snudando il coltello; riuscì a tagliarli tutti tranne uno. Gli parve quasi di vederlo, il superstite, mentre inarrestabile risaliva il braccio dell’halfling, scomparendo in profondità sotto la clavicola e poi di nuovo su, lungo la nuca. Sotto i loro sguardi inorriditi, gli occhi di Alhambra si rovesciarono all’indietro, gonfi e vitrei, incassati in vistose occhiaie vermiglie. Per lei fu come se qualcosa le solleticasse quell’irraggiungibile zona dietro l’ugola con la punta di un dito di ghiaccio.

All’improvviso, però, le voci tacquero, il freddo si dissolse, la luce calda del piccolo falò da campo si soffuse nei suoi occhi mentre tornava a mettere a fuoco il mondo intorno a lei. Era spaesata, come fosse riemersa bruscamente dal sonno profondo, ma stava bene. Intorno a lei, l’elfo, la mezzelfa ed il nano osavano a malapena respirare. La pietra sussurrante era un’impronta di cenere bigia sul palmo della sua mano lorda del sangue del troll. Fu Dargrosh, con nanica efficienza, ad afferrare la testa mozzata del mostro e a gettarla tra le fiamme, decretandone definitivamente la morte.

«Beh?», borbottò Keryon, inquieto, in ginocchio accanto alla piccola Guaritrice. «Cos’è successo? Stai bene?».

«Come ti senti?», gli fece eco Quimae.

«Bene», mormorò. «Sì, insomma… a posto, direi».

«Quella cosa ti è arrivata fin dentro la testa», interloquì l’Artefice. «Poi d’un tratto s’è come avvizzita, ed è morta, esattamente come l’altra. Come ci sei riuscita?».

Il Chierico, però, non aveva risposte alle sue domande, e si limitò a stringersi debolmente nelle spalle, con un cenno di diniego. «Non ho fatto niente. Non potevo fare niente».

Prego, mamma, disse una voce dentro di lei.


Excerpt #7

La conversazione languì piuttosto velocemente. Dargrosh era quello che più di tutti loro sembrava seccato dal fatto che la breve spedizione di Keryon e Quimae al vecchio monastero della mezz’elfa si fosse rivelata pressoché inutile ai fini della loro comune ricerca. Alhambra non si mostrava altrettanto contrariata; dopotutto sapeva bene che, anche se i due presunti fratellastri s’erano imbarcati con loro in quell’impresa senza protestare, entrambi avrebbero impiegato ogni risorsa disponibile per perseguire anche il loro interesse primario – diradare le nebbie intorno all’oscuro personaggio che rispondeva al nome di Alabass Tinu’viel. Se avessero fatto nuove scoperte riguardo le origini di Quimae, però, in quel momento non era dato saperlo. Credette di cogliere una sorta di occhiata d’intesa che la Monaca scoccò al Ranger che le sedeva di fronte, come se la discussione non dovesse proseguire oltre. Non poteva biasimare i loro silenzi, con Dargrosh che fino a qualche settimana prima si cimentava in riti arcani con diavoli e demonietti, e lei che se ne portava tutt’ora uno appresso e non aveva idea di se e di come sarebbe riuscita a tenerlo a freno.

D’un tratto si levò un gran trambusto dall’esterno della locanda. Grida concitate, tramestio di passi pesanti ed il clangore metallico di armi ed armature. Nella grande sala da pranzo gli avventori cominciarono ad agitarsi, lasciando frettolosamente i loro posti per ammassarsi ansiosi alle finestre che davano sulla strada antistante. Keryon, invece, puntò deciso verso l’ingresso; ma quando fu a nemmeno un paio di metri dalla porta, questa si schiantò sotto la carica di una creatura che non si sarebbero aspettati di incontrare in pieno centro città. Non che fosse un colosso di statura, ma era massiccio, e la sua stazza ingombrò la soglia quasi completamente, costringendo la clientela del locale a darsi alla fuga per vie traverse, rovesciando tavoli e sedie; il corpo, vagamente umanoide nella forma, era ricoperto da placche eterogenee di spessa corteccia bruna e verde. In una mano brandiva una clava di legno lunga quanto Dargrosh, mentre l’altra reggeva uno scudo rotondo evidentemente ricavato dalla sezione orizzontale di un grosso tronco d’albero. Sbuffava e grugniva in un linguaggio che Alhambra non riusciva a comprendere, ma dubitava comunque che fosse in grado di mettere insieme frasi di senso compiuto nella condizione di frenesia in cui versava quando caracollò all’interno, calpestando con noncuranza qualsiasi cosa si trovasse alla portata dei suoi piedi. Dalla sua ombra un altro essere emerse, molto più minuto, decisamente antropomorfo, dalla pelle verde brillante sotto abiti intessuti di foglie.

Keryon arretrò con cautela d’innanzi alla loro avanzata. Dargrosh rovesciò il tavolo a cui sedevano, frapponendolo tra loro e la creatura-albero. «Era questo che intendevano quando parlavano di incursioni in città», grugnì, tracannando un ultimo sorso di birra prima di lasciar cadere il boccale vuoto ai suoi piedi.

«Non ha senso», mormorò il Ranger. «Questi esseri non dovrebbero essere ostili!».

Per loro sfortuna, quelli – assieme ad un’altra dozzina di loro simili che avevano impegnato in combattimento la Guardia cittadina, all’aperto – decisamente lo erano. Gridando qualcosa in quella lingua silvana che soltanto l’elfo capì, attaccarono. Un paio di frecce soporifere, scagliate dal piccolo arco del mostriciattolo verde, sibilarono ad una spanna dalla testa di Alhambra, ferendo Dargrosh senza conseguenze. I dardi di Keryon, invece, s’infiggevano agevolmente nella pelle coriacea della creatura di legno, con uno schiocco sonoro. «Ferro freddo!», il Ranger trovava fiato per dar voce alla propria soddisfazione nonostante l’impeto della lotta, «sia benedetto tutto l’oro che ho speso!». La sua euforia, comunque, scemò con la stessa rapidità con cui il folletto estrasse una spada di legno dalla lama irta di rovi e lo raggiunse al fianco, aprendo profonde lacerazioni. «Chierico!», ruggì, osando a malapena voltarsi indietro verso Alhambra, agitando una mano lorda di sangue.

Lei guardò l’Artefice. «Non hai niente per appiccare il fuoco a quell’affare?».

«Potrei appiccarlo a tutta la locanda», ribatté il nano, tuffando una mano nello zaino. La vide aggirare la loro barricata improvvisata, puntando decisa al cuore della mischia. «Andrai a farti male».

«Oh, beh…». In principio Alhambra era stata prudente, come di consueto, e aveva lanciato i suoi incanti di supporto restando alle spalle del gruppo, al riparo. Le ci era voluto qualche momento per ricordare che in realtà girava da giorni con una borsa da Guaritore che conteneva più veleni per lei che medicamenti per tutti. Non aveva paura di farsi male, anzi, era addirittura ansiosa di scoprire cosa sarebbe successo se fosse rimasta ferita.

La clava di legno la raggiunse all’altezza del braccio che aveva teso in direzione di Keryon, ed anche se il nocumento fu contenuto, l’impatto fu così forte da farle perdere il primo incantesimo. Non accadde assolutamente nulla di insolito: il dolore si irraggiò inesorabile lungo l’arto, intorpidendole momentaneamente i sensi, facendola barcollare qualche passo più lontano. Adesso, pigiata nella cornice della porta della locanda, c’era la mole del loro grifone, che aveva prontamente risposto al richiamo del suo cavaliere. Al contrario di quanto era avvenuto nel laboratorio di Dargrosh, però, questa volta le dimensioni dell’uscio limitavano la portata dei suoi attacchi, ed era di scarso aiuto.

Keryon ansimava, articolando malamente qualche parola nel dialetto silvano, evidentemente nel tentativo di comunicare con gli avversari che lo incalzavano senza tregua e che, ad ogni modo, non parevano minimamente far caso a quello che stava dicendo. Fu questione di pochi istanti, comunque, prima che il nano accantonasse definitivamente le sue remore in merito alla salvaguardia del locale e mettesse mano alle fiale di fuoco acido che si portava appresso. L’ampolla compì un breve volo a parabola attraverso la stanza e s’infranse contro la testa del mostro più grosso; l’acido divorò e corrose le sue carni coriacee con furia famelica, tra grida strazianti e fumi dal tanfo pungente. La disgraziata creatura si contorse in maniera spasmodica, creando ulteriore devastazione nel salone, prima di rovinare a terra, sfracellando un tavolo ed un paio di seggiole, per finalmente spirare tra le ultime, angoscianti convulsioni.

Il tocco curativo della halfling raggiunse il torso martoriato dell’elfo, risanandolo quasi completamente. Keryon elargì ad Alhambra una specie di sorriso a metà tra lo stupore e la gratitudine; ogni tanto qualcosa doveva rammentargli che il potere di un Chierico non dipendeva dalle dimensioni delle sue mani. Poi si voltò a fronteggiare l’avversario ancora in piedi, insistendo nel voler battere il sentiero diplomatico, ma di nuovo senza successo.

«Blocca persona!». Alhambra, snervata, lanciò l’incanto. Era un azzardo, ma poteva valerne la pena; trattenne il fiato finché non vide la creaturina verde cadere sul pavimento completamente paralizzata. «Oh, Olladra benedetta…», sospirò, sciogliendo la tensione dalle spalle.

Lo disarmarono e lo immobilizzarono con svariati di giri di corda. Tuttavia, pur non avendo la minima possibilità di liberarsi, quando l’effetto dell’incantesimo svanì, quello riprese a dimenarsi come un ossesso. «Questa è una Spina», osservò il Ranger. «Una creatura delle foreste, probabilmente il guardiano di quell’altro affare di legno. Ripeto… non dovrebbero essere così ostili, ma questa è completamente fuori di sé. Farnetica. Hanno attaccato chiedendo aiuto»

«Ma dai?», lo rimbrottò, sarcastico, l’Artefice.

Alhambra si guarì il braccio; probabilmente qualche cartilagine del gomito doveva essersi incrinata o addirittura spaccata, ed il dolore le pulsava nelle tempie rendendole difficile concentrarsi. Voleva capire, e s’inginocchiò al fianco del folletto. I danni riportati nello scontro erano seri, seppur non troppo ingenti, e gliene curò una parte nella speranza che ciò lo calmasse e lo rendesse più propenso al dialogo, ma fu perfettamente inutile; i suoi occhi erano arrossati, gonfi, allucinati, e si contorceva come un verme attaccato all’amo rendendole impossibile visitarlo.

«Proviamo così», interloquì Dargrosh, constatando le sue difficoltà. Raccolse da terra una delle frecce soporifere che la Spina stessa aveva adoperato contro di loro, e lo ferì ad un piede quel tanto sufficiente a che la tossina entrasse in circolo. Lentamente, quello s’intorpidì fino a piombare in un sonno torbido, malato. Respirava sibilando.

Alhambra lo ispezionò, rigirandolo delicatamente. «Guardate». Dietro la testa, scostando ciocche di quei capelli ispide come le barbe dei fiori di cardo, trovò una piccola ferita in cui era incistata una gemma cangiante dalla sfaccettatura irregolare, grande quanto un dado da gioco. Sollevò lo sguardo e lo posò su Keryon, identificandolo come quello tra loro che sembrava possedere una cultura più specifica in merito. «Suppongo che questa non dovrebbe trovarsi qui».

«Direi di no».

«Posso provare a togliergliela, ho degli strumenti nella borsa».

«Si sveglierà alla prima incisione», l’ammonì il nano.

«E quindi?».

La consultazione fu breve, e mortificante per la Guaritrice quando si resero conto che l’unico anestetico di cui disponessero erano i pugni di Quimae. Convennero che fosse il male minore, apparentemente, e lo colpirono fino a stordirlo. Disinfettò la zona con lo spirito più forte che l’Artefice riuscì a scovare dietro il banco dell’oste, tra la roba scampata allo scempio della clava; il resto se lo scolò lui, con noncuranza, e poi gettò la bottiglia alla Monaca, con un rutto, per poter essere di supporto al Chierico.

L’halfling si mise all’opera. Il bisturi nella sua mano incideva i tessuti con la disinvoltura di un pennino sulla carta patinata… aveva del talento, indubbiamente, oltre che un Marchio. Con disappunto, però, si resero conto che la piccola pietra era incassata nella calotta del cranio. Poteva estrarla comunque, ma ci sarebbe voluto più tempo; intanto fuori, per strada, i tafferugli proseguivano, con la Guardia di Fairhaven che stava inesorabilmente volgendo la situazione a proprio favore.

«Continua».

Alhambra con una mano conteneva l’invasività del bisturi e con l’altra seguitava febbrilmente a lavorare; si fermò solamente quando, con suo sommo orrore, scoprì che dai margini dentellati della pietra si dipartiva una serie di sottilissimi filamenti, come tentacoli piliformi, che si erano conficcati in profondità nel cervello della Spina. Serrando le labbra fino a farle sbiancare, ne recise uno.

La gemma cangiante reagì come se fosse stata viva. Il peduncolo tagliato si atrofizzò all’istante, polverizzandosi, ma tutti gli altri si scalzarono in un sol colpo dalle loro sedi, facendo a brandelli il cervello del loro ospite, per poi ritorcersi repentinamente indietro contro la Guaritrice. Non ebbe il tempo di realizzare cosa stesse accadendo, perché le si conficcarono come aghi nella carne esposta del braccio, strappandole un gemito soffocato; all’improvviso la sua testa si riempì di voci sussurranti che si accavallavano le une alle altre, aggrovigliandosi in una matassa assolutamente inintelligibile per lei. Fu sul punto di precipitare in una voragine di follia, quando un’altra ondata di dolore indescrivibile la riportò bruscamente alla realtà; Keryon aveva afferrato la pietra e l’aveva estirpata a forza dal suo corpo, devastandola esattamente com’era avvenuto per la creatura che la possedeva prima – con la sostanziale differenza che in Alhambra non aveva raggiunto alcuna zona vitale. Alla stessa maniera, quella cosa riuscì allora ad impossessarsi di lui, penetrandogli nel palmo della mano. «Dannazione!». Anche il Ranger fu assalito dalla corale di voci soprannaturali, ma poteva capirle.

Ammazzali! Ammazzali! Uccidi tutti! Uccidili!

 

Lei si ritrovò boccheggiante sul pavimento, con il sangue che scorreva a fiotti dal braccio martoriato, accanto al cadavere della Spina ancora caldo. L’elfo imprecava stringendosi la mano ferita al petto, la mezz’elfa reggeva la bottiglia del loro anestetico improvvisato in cui aveva imprigionato la pietra. Tutti videro la gemma agonizzare per qualche momento, agitando disordinatamente i tentacoli prima di ridursi ad un fondo di cenere grigiastra.

«È quella», grugnì Keryon. «Quella li fa impazzire. Entra nelle loro teste e li istiga a massacrare tutto quello che incrocia il loro cammino».

Anche tra le spoglie carbonizzate del mostro di legno riconobbero i segni della presenza di un’altra scheggia malefica dietro la testa, ma della pietra vera e propria non c’era traccia. «Probabilmente muore non appena rimane senza ospite», ipotizzò il nano.


Arthas, l’Ascesa del Re dei Lich #1

Ma, del resto, agli elfi piace fin troppo mettere criniere di carta ai gatti e poi chiamarli leoni.

(Allora ne conosco tanti di elfi, io…)


Protetto: Excerpt #6

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Brehenn 9

Si ritrovarono lì, tutti e venticinque, senza essersi neppure messi d’accordo o essersi incrociati lungo la strada. Era prevedibile, per questo stavano in religioso silenzio, sotto quel cielo plumbeo che si faceva sempre più cupo, sull’aspro crinale di roccia. Le Cinque Congreghe dei Negromanti non convivevano così pacificamente in reciproca prossimità neanche in occasione del Gran Conclave, le circostanze erano veramente drammatiche.

«Chi è rimasto con gli Adepti?».

«Che importanza ha? Moriranno comunque per primi».

Qualcuno rise subito, gli altri si aggiunsero poco alla volta. Alla fine ridevano tutti, i Negromanti ridevano sempre davanti alle minacce di morte. Più erano Recidivi e più ridevano.

«Godiamocela, perché ci faranno rimpiangere di essere mai esistiti».

Anche di quello erano tutti ugualmente consapevoli. Non che sapessero di preciso che cosa li aspettasse di lì in avanti, ma avevano la netta sensazione avrebbero finito con il soccombere al cospetto degli stessi Spiriti a cui loro stessi facevano da guardiani.

Pasha le sfiorò una mano, attirando la sua attenzione. «Dovresti tornare alle Falesie. Forse le Terre Esterne resteranno immuni da tutto questo».

«Kuolleet ovat kuolleet, toisella puolella tai muita», mormorò Galadh, che aveva ritrovato quasi subito il suo glaciale contegno. «Sarà solo questione di tempo prima che si apra una falda anche lì, o che gli Spiriti ci arrivino oltrepassando il Confine».

«Probabile», mormorò Brehenn. «I più saranno attratti da noi, comunque. Perché dar loro motivo di sparpagliarsi ulteriormente?».

Un’altra cosa che nessuno esternò ad alta voce, in una lingua o nell’altra, ma di cui tutti presero coscienza, era che avrebbero dovuto sforzarsi di appianare le loro naturali divergenze tra Congrega e Congrega, perché mostrarsi solidali e compatti poteva essere la loro unica via di salvezza. Nessuno fece domande superflue quando i cinque Sommi si ritirarono in disparte per prendere accordi; tutti gli altri rimasero diffidenti, si sedettero più o meno lì dove già si trovavano, in gruppi di quattro, e cominciarono a vociferare.

 

«Com’è? Voglio dire, come si presenta?».

Il Concilio aveva tre nuovi membri che Brehenn non conosceva, ma che per tradizione poteva supporre si trattasse di allievi, attendenti e apprendisti dei tre precedenti. Nel Dhara non avevano niente di simile ai loro Lignaggi, e di conseguenza i seggi del Concilio non si tramandavano necessariamente per discendenza di sangue. Il che, se da un lato poteva essere una gran buona cosa, dall’altra l’avrebbe costretta ad imparare nuovi nomi, oltre che nuovi volti.

«Non si presenta, non ancora», rispose con garbo uno dei due Negromanti che l’accompagnava per quell’ambasceria, Connovar. «O, per lo meno, non si era ancora manifestata in maniera visibile quando noi ci siamo recati a Barrigh… ma è questione di giorni, Alti Signori. A quel punto, temiamo, tutti se ne renderanno conto».

«Un passaggio tra i Mondi», ripeté, ancora incredulo, uno dei Maghi. «Avete prove che una simile evenienza si sia già verificata in passato?».

I tre Negromanti ad udienza scossero il capo. «Per questa ragione vi chiediamo anche di garantirci accesso agli Annali della Torre del Sole», disse Brehenn.

«Quello che ci preoccupa è la breccia nel Velo di Kolkas», soggiunse la terza consorella, Alesia. «Forse dall’Ylamaailmas possiamo augurarci che niente abbia interesse a scendere sul nostro Piano, ma gli Inferi rigurgiteranno i loro abitanti come risorgive dopo la stagione delle piogge».

E noi saremo i loro fari nella tempesta, pensò Brehenn, mordendosi le labbra, per quelli che vanno ed ora anche per quelli verranno. Se non ci elimineranno prima tutti quelli che abbiamo imprigionato laggiù, ci consumeranno tutti gli altri. «E noi non troveremo scampo né sollievo nemmeno nella morte». Si rese conto di aver espresso quell’ultimo pensiero a voce alta soltanto perché gli occhi stanchi del vecchio Lord Xantios si posarono su di lei con aria afflitta; quell’uomo la conosceva da quando aveva diciassette anni, l’aveva vista crescere, amare, soffrire, passare da Allieva, a Custode del Globo dei Draghi, a Gran Maestro Negromante della Congrega di Aita. Una volta le aveva detto che la trovava una persona troppo grande per un corpo così minuto, e molto presumibilmente era quello che stava pensando anche in quel momento, mentre la osservava senza profferire parola.

 

Il Capo del Concilio l’accompagnò personalmente fin nei più polverosi meandri dell’archivio degli Annali dell’Ordine, custodito nella Torre del Sole, che svettava alta e sottile come una lancia d’oro al centro della Cittadella. «Ricordi l’ultima volta che siamo stati qui?», le domandò, azzardando un sorriso. Era una domanda retorica, naturalmente Brehenn ricordava il giorno in cui, di fronte allo stesso Xantios, al Custode degli Annali e a tutta un’altra serie di dignitari aveva firmato gli atti con cui erano stati registrati gli eventi dalla Breccia nel Confine fino alla fine della Guerra dei Rinnegati. A metà della gradinata, il vecchio Mago fu costretto a fermarsi per tirare il fiato. «A volte intere decadi si trascinano sonnolente senza che accada nulla di rilevante, altre volte tutto accade così in fretta che gli archivisti non chiudono nemmeno la porta a chiave», ironizzò. Le strinse amorevolmente una spalla. «Quanti figli hai ormai, ragazza mia?».

Brehenn rise. «Sempre tre», rispose. «Barddas ha quattordici anni ormai, è entrato a Morgwren. Eilantha ne ha sei, Alán quasi quattro».

Lord Xantios sospirò. «Dovresti essere a casa con loro, e con Ander. Staranno in pena». La Negromante stiracchiò un sorriso di circostanza, era evidente che anche lei avrebbe infinitamente preferito trovarsi a casa sua – o a Morgwren – insieme alla sua famiglia. «Ad ogni modo», concluse, tentando di sdrammatizzare, il Primo Mago, «Che Amur te ne renda merito, ragazza, tre figli! Devi averli coltivati in vaso!». Si concessero entrambi una risata, giusto un momento, prima di riprendere la salita e ritrovare anche il senso della gravità della situazione.

«I miei confratelli in questo momento stanno consultando gli Oracoli, ed i migliori astronomi», disse la giovane donna, con costernazione. «Non sappiamo davvero spiegarci il motivo di una simile oscillazione. Con l’anno nuovo normalmente le correnti si stabilizzano nel giro di un paio di giorni, ma stavolta il picco ha continuato fino… fino a questo».

L’uomo parve vacillare. «C’è una cosa che devi vedere. Vieni, saliamo fino in cima».

 

Il sole di mezzogiorno baciava la bellissima Tarpan, che si stendeva a perdita d’occhio lungo il grande fiume Galdwyn, con le guglie scintillanti del Palazzo Reale, la piazza del mercato, il Bastione dei Grifoni e l’imponente Accademia Militare. Liam, non poté fare a meno di pensare.

«Laggiù». Il braccio di Lord Xantios descrisse un segmento di arco e tese l’indice verso occidente. «Quel complesso grigio a ferro di cavallo».

«Che cos’è?».

«Lo chiamano l’Ordine dei Pari».

«Mai sentito prima d’ora».

L’anziano Mago sorrise, «Sei mancata a lungo». Trasse un profondo respiro, la tunica di seta color avorio si tese sul petto che un tempo doveva essere stato ampio e muscoloso. «Sono spuntati dal nulla, come funghi dopo la pioggia. Il loro è un culto semplice, molto accattivante, ed ha preso piede con rapidità in tutti gli strati sociali, di Tarpan e fuori. Sono un collettivo compatto, efficiente… secondo loro, ogni essere umano è dotato del potere di operare in Magia, non soltanto Maghi e Guaritori».

Brehenn ridacchiò nervosamente. «Questo è assurdo».

«No, evidentemente non lo è», fu costretto ad ammettere l’uomo. «Hanno dei riti, delle preghiere, dei nuovi Dei che chiamano gli Ascesi; il loro potere si manifesta con l’aggregazione dei singoli, finché da svariate volontà individuali, rigorosamente addestrate a cooperare in perfetta sintonia tra loro, nasce effettivamente qualcosa. Non è come la nostra Magia, ma è pur sempre Magia. Riesci a cogliere le implicazioni di quanto sto dicendo?».

La Negromante annuì, tuttavia rimase perplessa. «Perché me lo state dicendo?».

«Perché siamo in confidenza, tu ed io, Brehenn», rispose. «Ed in tutta confidenza ti dico che non riesco a togliermi dalla testa l’idea che questi nuovi rituali, questa nuova Magia dei Pari possano essere la causa degli stravolgimenti a cui stiamo assistendo».


Excerpt #5

Ignaro, il sergente Dolom si accomodò sulla stessa seggiola su cui, fino a non troppo tempo prima, sedeva il Maestro di Dargrosh, e si guardò intorno con aria perplessa, constatando il livello di devastazione in cui versava la stanza. Tutto tristemente quadrava con il racconto concitato che gli aveva fatto il Ranger non appena arrivato, era innegabile che lì dentro ci fosse stato uno scontro che aveva visto coinvolti un grifone e almeno un Diavolo delle Catene.

Loro erano entrati dopo di lui, e Dargrosh in silenzio aveva cominciato a rassettare la casa come se avesse urgenza di riportare una parvenza di normalità. Muroni seguiva Keryon con aria apprensiva – l’aveva esaminato con occhio clinico e discreto appena giunta sul posto, ma a parte qualche rammendo ai suoi abiti non c’era nulla che potesse fare – mentre lui dal canto suo non pareva incline a ricambiare quelle attenzioni, per lo meno in quel frangente. Tutti gli altri si guardavano intorno con diffidenza, finendo con il constatare che, effettivamente, dentro ormai non c’erano che loro; il Maestro se n’era andato portandosi via i due diavoli, ma anche il diario scritto in lingua infernale ed il disco di legno. Fuori, il manipolo di curiosi attirati dal baccano inconsueto s’era disperso.

«Dunque», cominciò con il dire Dolom, «gradite spiegarmi cosa sta succedendo?».

Diversi sguardi conversero allora sull’Artefice, che dava loro le spalle, tenendosi impegnato attorno al focolare. Poi, dal momento che nessuno osava fiatare, prese la parola Quimae, ed affrontò la questione partendo da piuttosto lontano: «Quando abbiamo inseguito i diavoli che avevano rubato la testa del demone conservata a Casa Jorasco – circostanza, per altro, in cui abbiamo fatto la conoscenza della qui presente lady Muroni – siamo finiti in un santuario dei Signori della Polvere. Durante lo scontro…», e ripeté la storia per l’ennesima volta.

Nella testa di Alhambra i ricordi assumevano una sfumatura diversa alla luce di quel che aveva imparato. In principio tutti avevano pensato che Viktor si fosse lanciato all’inseguimento della testa rubata per riportarla indietro, e che si fosse visto costretto a distruggerla unicamente per salvare sua sorella ed i suoi compagni…

«Il mio Maestro è stato con me fin da allora. Era parte di me, e adesso sa tutto quello che so anche io».

«Anche che stiamo per partire alla ricerca degli artefatti che ci permetterebbero di purificare il corpo di Viktor… sa di Shalme e Palwe».

«Dovremmo avvertirli, potrebbero essere in pericolo».

…la creatura con il Marchio rosso sulla schiena che aveva sgominato l’orda di diavoli che Vercis aveva inviato contro di loro, ma aveva arrestato la sua furia assassina di fronte a lei. La Chiave nascerà dal sangue corrotto. Chissà se già in quel momento sapeva di volere che nascesse così. Studiò Dargrosh, intento a rimestare la sua cena in un paiolo; nonostante fosse praticamente sotto interrogatorio, sembrava essersi liberato da un grosso fardello. «Toglimi una curiosità», interloquì. Cacciò una mano nel borsello che portava appeso alla cintura e ne trasse un foglietto spiegazzato che da giorni ormai si portava appresso – era una pagina del diario che aveva copiato il giorno in cui l’aveva accompagnato a fare ricerche in biblioteca. «Puoi ancora leggere l’infernale?». L’Artefice riuscì a malapena ad orientare la pagina con l’alto ed il basso.

«Quindi in ogni caso le tue macchinazioni si fermano qui», decretò Dolom. Era sollevato, ma soprattutto profondamente amareggiato e faceva ben poco per nasconderlo. «Non avrei mai creduto possibile che un nano cedesse tanto facilmente alle lusinghe di un potere così infido».

«Il mio Maestro era come un padre per me!», sbottò l’altro, scagliando il mestolo nella marmitta. «C’è chi s’è sciolto per lusinghe ben peggiori», ed indicò Alhambra. «Parliamo di lei, piuttosto, incinta di suo fratello e, di conseguenza, della Seconda Chiave!».

Nella stanza calò di nuovo quel silenzio foriero di disgrazie, e la halfling desiderò ardentemente di potersi votare a qualche divinità degli inferi che aprisse una voragine sotto i suoi piedi e la inghiottisse all’istante.

Se Dolom era basito, Muroni era sconvolta e scandalizzata. «Per la Schiera Sovrana, com’è potuto accadere?!».

Questa volta non osò ironizzare proponendo la storiella delle api e dei fiorellini, anche se per poco non le sfuggì un commento salace in merito a certe piccole gioie che supponeva Keryon avrebbe dovuto far conoscere alla sua interlocutrice. Avrebbe potuto cedere al pianto isterico che tratteneva da giorni, e snocciolare a tutti loro il suo tormento… se per Dargrosh il suo Maestro aveva preso il posto del padre che lo aveva ripudiato, lei non poteva certo confessare altrettanto a cuor leggero che i diciassette anni in cui Viktor era mancato da casa – e dalla sua vita – le avevano restituito un maschio halfling nel fiore degli anni che lei aveva a stento riconosciuto come suo fratello. Per il bene della reputazione della famiglia intera, sarebbe stato meglio continuare ad imputare l’incidente ad una qualche malia operata dalla Chiave, quindi, arrossendo, ammise: «Non so che dire, è… è semplicemente successo. È cominciato come un sogno ricorrente, e alla fine è capitato davvero».

L’elfa, però, pretendeva una giustificazione più convincente. «Mi state dicendo che non c’era proprio nulla che Voi o Vostro fratello avreste potuto tentare per impedire che accadesse questo disastro?».

Si sentì infinitamente stupida. Tacque e sostenne lo sguardo di Muroni facendole intendere di non avere ulteriori risposte da darle; se rammentava bene il responso della divinazione che Muroni stessa aveva fatto per loro, terminava con L’amore ucciderà la Chiave. Che, per quanto poteva saperne lei in quel momento, avrebbe anche potuto significare che forse quella era solo la prima di una serie di idiozie invereconde che li avrebbero portati alla rovina.

L’Adepta dei Draghi tese una mano verso di lei, e Alhambra conosceva quell’incanto: stava cercando di percepire l’aura del bambino. «È troppo presto», mormorò.

Muroni abbassò la mano. «Sì è troppo presto».


Excerpt #4

Nella stanza calò un silenzio sepolcrale, turbato soltanto dal tintinnio delle catene del Kyton, immobile, alle loro spalle.

«Mi hai molto deluso, Dargrosh», disse la cosa che aveva le sue stesse sembianze, senza muoversi dalla seggiola su cui s’era materializzata.

«Mi dispiace, Maestro», rispose l’Artefice, abbassando lo sguardo per rifuggire quelli sgomenti dei suoi compagni attorno a lui.

«Ti avevo avvertito di non portarli qui. Ti avevo detto di non rivelare nulla del nostro lavoro», continuò il suo doppio, lisciandosi la lunga barba rossiccia con gesti lenti e misurati. «Ma so perché lo hai fatto… tu volevi che sapessero. Volevi che vedessero. Ti ho sopravvalutato, credevo fossi una mente sufficientemente sopraffina per cogliere l’importanza di quello che stavamo facendo».

«Cosa stavate facendo?», interloquì a quel punto Keryon, avanzando con enfasi verso il demonio dall’aspetto di nano.

Dopo un breve attimo di esitazione, fu Dargrosh a rispondergli. «Dovevamo creare un’altra Chiave».

Questo ormai tutti loro lo sospettavano da quando il loro nano aveva perso conoscenza nel santuario sotterraneo dei Signori della Polvere; era chiaro che l’intento di Dargrosh fosse quello di portare avanti l’opera del suo Maestro… ma speravano avesse fini più puramente accademici.

Nella testa del Ranger, frattanto, alcuni tasselli andavano il loro posto. Per qualche giorno, con il favore dell’imbrunire, era stato appostato fuori del laboratorio dell’Artefice nella speranza di scoprire cosa stesse macchinando; aveva già visto l’imp all’opera, già notato il Diavolo delle Catene, già sentito parlare il suo compagno con un interlocutore invisibile senza riuscire a capire cosa diamine stesse succedendo. Cautamente, nervosamente, cominciò a camminare avanti e indietro.

«Chi è costui?», volle sapere Quimae.

«Il mio Maestro», mormorò il nano senza alzare lo sguardo, costernato. «Quando la testa demoniaca mi ha morso, parte della sua coscienza è entrata dentro di me, e mi ha permesso di continuare il lavoro. Ci siamo separati pochi giorni orsono… mi ha condotto fino ad una torre, dove c’era un grande specchio, e a quel punto i riflessi si sono scissi…».

«Mi stavi facendo perdere tempo prezioso», lo interruppe il Maestro. «Non stavi facendo i progressi che speravo, Dargrosh».

«Non ne avevo la possibilità!», protestò il suo apprendista, risvegliandosi temporaneamente dalla condizione di penitenza in cui aveva versato fino a quel momento. «Ho molte cose per le mani in questo momento!».

Il demone rise. «Loro ti stanno solo usando, povero stolto».

L’Artefice si corrucciò, e gonfiò il petto massiccio con ritrovato cipiglio. «Perché, Voi no?».

«Io ti ritenevo un brillante apprendista», insistette l’altro. «Loro nemmeno si fidano di te. Ti hanno seguito, spiato, magari sperano addirittura di svendere il tuo lavoro a quell’Adepta dei Draghi… ma moriranno qui, e tu con loro, se non te li lascerai definitivamente alle spalle».

«Quindi tutto questo ha a che fare con Viktor d’Jorasco», asserì Keryon, nel tentativo di prendere tempo.

«Naturalmente», rispose il Maestro. «Viktor è la Prima Chiave. E lei…», sogghignò mentre il suo sguardo scivolava su Alhambra, «…ha la Seconda». La halfling sentì il sangue defluirle rapidamente dalla testa, lasciandola sgomenta, percorsa da lunghi brividi gelidi e pervasa dall’impellenza istintiva di strapparsi via quell’abominio che le stava inesorabilmente crescendo dentro.

«Perché? A che cosa servono le Chiavi?», insistette l’elfo.

L’altro rise. «A che pro saperlo, ormai? Mi porterò via il vostro piccolo Chierico e nessun altro di voi uscirà vivo da qui… nemmeno tu, Dargrosh, se ti ostinerai a voler seguire i tuoi compagni anche nella triste sorte». Fece un cenno al Kyton, appena percettibile, poco più di un’occhiata d’intesa. Il viso del diavolo conservava ancora la fisionomia del bibliotecario, distorta in un’espressione di intensa sofferenza e ripugnanza per l’opera immonda che era costretto a compiere; ciononostante, la creatura obbedì, ed allargò le braccia, facendo gemere le maglie delle delle catene che vi pendevano numerose. Altre due ne comparvero ai lati opposti della stanza. Sulla spalla di Dargrosh, l’imp cominciò a dare segni di impazienza.

Alhambra vide la mano di Keryon sfiorare l’impugnatura dell’ascia bipenne, occhieggiando ansioso verso l’unica finestra che dava sulla piazzetta antistante il laboratorio. Lo sentì bisbigliare qualcosa a Quimae, nella sua lingua madre, poi si rivolse a lei, sempre in elfico e sempre niente più che un filo di voce: «Stammi vicino».

Non che avesse molto senso… i Signori della Polvere avevano a cuore la sua incolumità, almeno fintanto che portava in grembo la Seconda Chiave. Il Maestro non poteva permettersi che le accadesse qualcosa di male, e avrebbero potuto volgere la cosa a loro vantaggio. «Prendimi come ostaggio e andiamocene da qui», rispose, a tono, ma da come il Ranger la guardò di rimando capì che non avrebbe mai avuto il coraggio di piantarle un coltello in un fianco e trascinarla via minacciando di infierire in modi ancora peggiori.

«È ora di decidere da che parte stare, nano», continuò poi l’elfo, in linguaggio comune.

«Uccidiamoli, uccidiamoli tutti!», strillò l’imp, facendo saettare la lunga lingua sottile fra i denti. Dargrosh lo zittì bruscamente, ma non diede segni di aver risolto il proprio conflitto interiore.

Di nuovo, il suo Maestro lo guardò e rise del suo tormento. «Che pena, mio povero apprendista! Bada: se non sei con me, sei contro di me. Decreterai la tua fine, Dargrosh… ti credevo un nano migliore, una persona più degna dei miei insegnamenti…».

«Oh, se lo pensasse davvero non starebbe insistendo così tanto!», sbottò la halfling, snervata. Ad un comando del Kyton, una delle catene danzanti si mosse repentina verso di lei, ed in un attimo le fu addosso, avviluppandola completamente e trascinandola a terra. Alhambra sentì le sue innumerevoli punte lacerarle gli abiti e stridere sulla cotta di maglia, ferirle le carni ma solo superficialmente… però stringeva, e se non riusciva a liberare le mani non aveva speranze di poter lanciare incantesimi.

Quimae si lanciò in direzione della finestra, evitando l’altra catena danzante, e la spalancò. Keryon, che non attendeva altro, lanciò un richiamo al suo grifone, che prontamente rispose facendo riecheggiare le sue grida tra le torri circostanti; l’animale riuscì ad incuneare il suo corpo poderoso oltre l’infisso, piombando nel laboratorio, facendo stridere le assi del pavimento sotto i suoi artigli.

«La catena, attacca la catena!».

 

L’ultimo colpo della bipenne la mancò di così poco che le sfuggì suo malgrado un grido di terrore, e ancora gli anelli non cedettero. Alhambra, riversa sul pavimento, rovesciò la testa all’indietro e vide la mezzelfa soccombere rapidamente sotto gli attacchi del Kyton. I colpi della disgraziata Monaca s’infrangevano sulle catene del suo avversario facendole sferragliare, ma senza infierire in maniera significativa, e le ferite che gli infliggeva guarivano in fretta.

Dargrosh si era avventato contro il suo Maestro, abbrancandolo per le spalle, e poteva sentirlo imprecare e supplicare nella lingua del suo popolo per qualcosa che non riusciva a capire. Poi il demonio era svanito, ed il suo apprendista aveva perso il controllo dell’imp. «Uccidiamoli tutti!», aveva ululato la creatura, in preda ad uno spasmodico entusiasmo, prima di fendere l’aria con un sibilo e ferire Keryon al collo con il suo pungiglione avvelenato.

Poi, finalmente, la morsa della catena danzante cedette, dilaniata dal becco del grifone. L’elfo, chino sulla Monaca nel tentativo di somministrarle una cura, si voltò verso di lei. «Sali!», le intimò, indicandole l’animale. In quel mentre, però, il Kyton attaccò di nuovo, questa volta prendendo di mira il Ranger… Lei poteva vedere chiaramente il viso del bibliotecario striato da lacrime vermiglie, ripugnato dalla violenza che stava perpetrando. Quimae, riavutasi, riguadagnò faticosamente la finestra e si lasciò cadere al di là, all’aperto, inseguita dall’imp.

Fluffy attaccò il diavolo delle catene, e al Chierico fu sufficiente tendere una mano; aggrappata ad una delle bisacce, Alhambra si protese verso il compagno e lo raggiunse alla base della schiena, riuscendo infine a richiamare a sé il potere divino e infondendogli la sua magia curativa. Poi Keryon si issò in arcione, pigiandola con malagrazia nella sacca, e diede ferocemente di talloni alla sua cavalcatura, che si voltò. L’imp, però, aveva chiuso la finestra tra loro e la fuga.

Stipata come un bagaglio, la halfling non fece neppure in tempo a protestare per la meschinità della sua condizione; basculò violentemente non appena il grifone si mise in movimento, e l’impatto con cui la bestia sfondò il vetro la lasciò senza fiato. Il manico del falcetto le si conficcò dolorosamente nel fianco quando atterrarono sul lastricato della via, spingendola ad imprecare a denti stretti in una maniera non proprio consona ad un membro della sua Classe… poi però tutto intorno a loro fu il silenzio pacato della notte di Sharn. Fluffy si raddrizzò con cautela – poteva percepire la muscolatura poderosa del suo fianco contrarsi e rilassarsi attraverso il cuoio – ma non attaccò nuovamente, e non si mosse che di qualche passo, con circospezione.

Guardinga, Alhambra spinse la testa fuori dalla bisaccia.


Da Sharn, con amore

Stanotte ho fatto un sogno veramente idiota… dovevo dare due esami, una prova di italiano e una di francese, come le certificazioni europee di lingue straniere; non c’era un motivo preciso per cui dovessi farli, erano semplicemente obbligatori per TUTTI, come fosse un censimento, era tornata a casa a farli persino una mia vecchia amica che adesso vive negli USA.
Sta di fatto che a me tirava immensamente il Qlo, non ne avevo voglia e continuavo a chiedermi cosa sarebbe successo se non mi fossi presentata il giorno del mio appello. Ad un certo momento mi veniva legittimamente il dubbio che una cosa così idiota potesse essere surreale e me la stessi semplicemente sognando, e a quel punto mi rivolgevo a Yuri, che candidamente mi rispondeva “cerca su internet, se è tutto un tuo sogno non troverai niente”. E io cercavo. E porcamiseria trovavo un sacco di voci e anche commenti su Facebook. E quindi mi ero rassegnata ad andare in centro a fare quest’esame del menga. E alla fine mi sono svegliata veramente e mi sono detta dddiottipregofachesialavoltabuona…
Stamattina Facebook parla solo della buon’anima di Nelson Mandela. Sono terrorizzata perché questi Grandi Uomini muoiono e non c’è ricambio generazionale.

Comunque sia, ieri sera ho realizzato che provo del genuino benessere emotivo nel guardare fuori dalla finestra, quando fa buio, e vedere gli autobus passare. Non so come mai. Gli autobus. Delle macchine non mi frega niente, solo gli autobus riescono ad incastrarsi bene nella mia cornice pre-natalizia.

Il problema di fondo è che da qualche giorno non sono molto presente, il più delle volte perché sono in fissa con il gdr – e il mio blocco da scarabocchi ne guadagna, in effetti.


E non solo lui.

Insomma, ad un certo punto eravamo tornati nel vecchio covo delle arpie. Tutta la montagna brulicava di lupi e soldati del Daask, una parte instupiditi e ammaliati al servizio dell’Elfo con la faccia dipinta e l’altra invece faceva capo a Kesshta, al soldo di Azimuth; noi sneaky sneaky eravamo riusciti ad arrivare alla grotta in cui l’Elfo aveva evocato una testa gigante e stava sacrificando i nobili scomparsi ai concerti di Antares per un rituale non meglio definito. Alhambra aveva rischiato di lasciare le penne prima nelle fauci del barghast, e poi immolata sulla spirale magggica – al posto dell’ultimo nobile che Dargrosh aveva ucciso con un colpo di balestra nel tentativo di interrompere il rito. Keryon era riuscito a prendere tempo facendo il nome di Antares (quello vero, Erunir Tinu’viel), e alla fine la volta della caverna era crollata, Azimuth aveva guastato la spirale, l’Elfo e la sua testona se l’erano data a gambe attraverso una pietra del teletrasporto, eravamo riusciti a rianimare i nobili e poi, pian pianino, a riportarli a Sharn.
A quel punto le strade si erano momentaneamente divise:

– Quimae finisce a Dal’Quor, dove incontra la “traccia” di una donna elfica, ormai defunta, di nome Nìniel, che aveva assistito sua madre al momento della sua nascita e che le rivela di aver amato suo padre e avergli dato due figli – di cui uno si rivela essere Keryon. Scopre anche, sbirciando nei sogni di Alhambra, che i rapporti tra lei e Viktor sono morbosamente influenzati dalla creatura che vive dentro suo fratello. Infine tenta di mettersi in contatto con il suo vecchio maestro Monaco per chiedergli notizie su chi e come l’avesse lasciata in fasce sulla porta del monastero, ma il maestro le risponde che potranno parlarne solamente di persona.

– Keryon, dopo le rivelazioni di Quimae, apre una vecchia lettera di suo padre (adottivo) in cui è menzionata questa Nìniel – che aveva amato ma non aveva potuto sposare perché lei era una Phiarlan e lui un Signor Nessuno – e racconta di come lei in punto di morte gli avesse affidato il bambino pregandolo di tenerlo lontano dalle grinfie del padre biologico; fa anche il nome di Alabass, che Keryon credeva fosse semplicemente il cugino che gli aveva causato lo screzio con la sua famiglia, e che invece a quanto pare non ha nulla a che vedere né con i Phiarlan, né con i Moonshadow, ma sembra essere un Tinu’viel; molte cose al momento fanno supporre che sia il padre naturale di Keryon e Quimae, il che li rende anche parenti di Antares/Erunir.
Al Casato dei Phiarlan chiedono di Nìniel, ma ottengono solo la conferma che sia morta… però scoprono che un Elfo, corrispondente alla descrizione di Alabass, li sta cercando, e già da qualche tempo.
Una volta ricongiunti ai loro compagni e messi al corrente della situazione, i due tentano di mettersi in contatto con Azimuth, ma apparentemente senza successo.

– Alhambra, tornata a casa, ritrova suo fratello molto più in forma di quanto non fosse l’ultima volta che s’erano incrociati. Sua cugina, Stella, però è sparita. Viene contattata da un compagno di Viktor, Shalme, che le confida di essere molto preoccupato perché ha scoperto che Viktor sta tenendo a bada il mostro che ha dentro con l’energia positiva assimilata dall’uccisione dell’Alto Prelato di Dol Arrah – dato per disperso giorni addietro.
Una sera, Viktor porta sua sorella a cena fuori in un ristorante di pregio di Volta-del-Cielo. Lei, turbata dalle rivelazioni di Shalme, è a disagio ed esagera con il bere; lui cede alle proprie pulsioni e la fa sua per ben due volte, prima nell’ombra di un vicolo e poi nel talamo di una locanda. Il mattino seguente, schiacciato dal rimorso per le proprie azioni e sconvolto nel venire a sapere che la sorte dell’Alto Prelato è stata scoperta, Viktor si dilegua. Sua sorella, furiosa, decide di tenersi impegnata nella ricerca di Stella; negli Ingranaggi però si imbatte in Dekron, ancora fuori di sé, che di nuovo cerca di farle violenza. Mostrandosi vagamente accondiscendente, Alhambra viene a sapere che Azimuth è in realtà un changeling. Decide a quel punto di agire di testa propria e manda un nuovo messaggio al Mago, che questa volta risponde e accetta di incontrarla.

Ultima puntata: Keryon e Quimae fanno un ingente prelievo dai propri risparmi e – dopo un’infruttuosa visita ai Phiarlan – si recano a Shae’lias dove trovano un Druido disposto a scrutare per loro. Scoprono così che Antares tiene dei barboni rinchiusi nei sotterranei di casa sua, ma quando cercano di spiare Alabass si ritrovano di fronte all’occhio della Testa Gigante, e Quimae rimane ustionata al viso. Tornano quindi di gran carriera a Casa Jorasco, e mentre Alhambra medica la compagna Mezzelfa la mettono al corrente degli ultimi risvolti. Decidono quindi di denunciare quanto hanno visto al buon sergente Dolom, il quale però ammette di non avere idea sul da farsi. Keryon decide di parlare con Muroni, e si danno appuntamento alla locanda dove alloggia Quimae; la Discepola dei Draghi confessa di stare a sua volta brancolando nel buio poiché le sue divinazioni hanno smesso di dare responsi. Sull’onda del trasporto, poi, i due Elfi finiscono con il copulare appassionatamente… e poi la sessione si conclude con la nottata penosa Alhambra, che nei suoi incubi rivive la serata trascorsa con Viktor, il quale però all’improvviso si trasforma nella creatura umbratile, la trafigge con un dito all’addome e lei si sveglia di soprassalto dopo una visione mostruosa di un neonato demoniaco.

Poi io non devo andarci in fissa?


Fic… tor.

marchio viktor 3

Ciao, lui è Viktor. Viktor Jorasco, è un halfling e sarà alto neanche un metro, ma è tanto figo ed è il motivo per cui stamattina alle 7:30 ero già davanti al pc a scarabocchiare.
Anche se non riesco a togliermi dalla testa l’impressione che abbia un braccio più lungo dell’altro.

Comunque, Viktor è il fratello più vecchio di Alhambra, nonché il suo parente più prossimo ad avere il Marchio della Guarigione. In più, appunto perché dev’essere un figo interplanare, ho deciso che al momento è l’unico membro di Casa Jorasco ad avere un Marchio Superiore u_u
A Viktor la vita del guaritore di città stava troppo stretta, per cui alla prima occasione ha fatto fagotto e se n’è andato in cerca di fortuna, lasciando la sua unica sorellina con un Marchio Primario di cui non sapeva bene che farsene… Fino ad ora. Ieri pomeriggio, quando Alhambra ha accompagnato Keryon a farsi sistemare tutti i punti caratteristica che aveva perso, la vecchiaccia Jorasco (sua nonna) l’ha fatta chiamare e lui era lì. A fare lo splendido. E io ero così morbosamente emozionata che a momenti mi facevo la pipì addosso come i cagnetti. Queste storie mi prendono troppo!

Cioè… ho disegnato meglio lui – che è un PNG – che non Alhambra, è stato un colpo di fulmine “ispirativo” di stamani. Sento la primavera, si dice così?
Oggi mi basta questo per star contenta per un pezzo. Mi sento quasi pucciosa.

 


Casa!

Credo di poter affermare che questo sia stato, a modo suo, il miglior San Valentino di sempre. Alla fine ce l’abbiamo fatta, ci siamo trasferiti a casetta in pianta stabile, e il signor Giscard ha davvero cucinato per me una cena luculliana con gamberetti in salsa cocktail, capesante mantecate e astice con salsa di panna acida; fosse stata anche pasta con il ragù, ad ogni modo, quello che è stato veramente impagabile è stata la sensazione di CASA.

Il mio oroscopo di ieri diceva che sto anelando a qualche avventura “esotica”, in realtà quello che ho sono delle strane smanie fantasy. Credevo fosse solo perché mercoledì mattina ero a casa con mia madre e ad un certo punto mi sono persa via leggendo le vecchie strisce di Drizzit. Ecco, Drizzt è un personaggio talmente figo che ti prende persino quand’è parodiato a fumetti; sono nostalgica, mi mancano terribilmente gli intrighi di Terre d’Ange, ma anche i Re degli Elfi di Arda (quand’erano anche loro fighi come nel Silmarillion), gli eroici patetismi di Tanis Mezzelfo o di Richard Cypher, perfino quella povera zoccolaccia di Catti-Brie.
L’oroscopo di oggi dice che ho la testa fra le nuvole.

Stamattina, la careyata ignobile è arrivata alla fine del sesto capitolo. Se avessi ancora sedici anni, a quest’ora sarebbe arrivata al sesto libro, altroché… quant’è brutto diventare grandi. Comunque la rileggo praticamente tutta ogni volta che la riprendo in mano, e anche poco fa stavo ritoccando avverbi; questo mi fa puntualmente desistere dall’intento di pubblicarla online da qualche parte – non sono mai definitiva in niente, accidenti a me. E sono pignola.
In più, sono giunta alla conclusione che senza caffè non riesco a raggiungere quel picco di godimento a cui ormai mi ero abituata quando pensavo a come mi sarei sentita in momenti come questo, sono incontentabile. Sailor Paturn, come dice Yuri.

Comunque sia, è venerdì e quello che sarebbe veramente figo, al di là degli Elfi, sarebbe che il ristorante cinese facesse le consegne a domicilio per allietare la mia serata da single con degli involtini primavera. Purtroppo – nonostante continuino ad aprire bazar e saloni da parrucchiera ad ogni angolo della città – non si sono ancora attrezzati in questo senso, e quindi ciccia. Stupido oroscopo e stupide voglie “esotiche”.


Il Ciclo dell’Odio #1

“Non sono una ragazzina. Sono una maga del Kirin Tor.”

“E io ho più di mille anni, quindi, per quel che mi riguarda, devi vivere qualche altro centinaio di anni prima che io possa anche solo pensare di chiamarti in un modo diverso da ragazzina, ragazzina.”